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31 mars 2011

Una risposta all’abbandono delle zone interne

di Benedetto Sechi   tutti gli articoli dell'autore

Alcune parti del mondo, soffrono per il sovraffollamento, altre per lo spopolamento. In Sardegna non ci facciamo mancare le due cose, da una parte i centri delle zone interne continuano ad essere coinvolti in un progressivo ed inesorabile esodo, dall’altra nei centri delle coste si assiste ad una crescita disordinata, sotto l’aspetto urbanistico, demografico e sociale. Certo non si tratta di un fenomeno nuovo, se ne parla da anni. Ma se si esclude il tentativo fatto dalla Giunta Soru, di mettere in campo alcune misure per arginare il fenomeno, non si può dire che si sia fatto molto per porvi rimedio.

Le conseguenze sono devastanti e si assiste, spesso inermi, all’abbandono di microeconomie, di tradizioni, di servizi pubblici, di memoria storica tramandata attraverso gesti di vissuto quotidiano delle comunità, che ormai non si ripetono più. Mentre le giovani generazioni si spostano in cerca di lavoro o per completare gli studi, si sa già che queste non ritorneranno mai più. In questo modo, si insinua l’apatia collettiva, la comunità perde una parte importate di se, direi decisiva per potersi rinnovare ed al tempo stesso per mantenere viva la memoria di quello che è stata.

Non è un fenomeno solo sardo, molte regioni ne sono afflitte. Alcune come il Trentino e la Valle d’Aosta, sono riuscite attraverso l’espansione turistica a far fronte al fenomeno, incentivando le piccole attività di montagna, gli alpeggi, puntando quindi su un’economia che valorizzasse al massimo i diversi “turismi” possibili. Si può dire una battaglia vinta. Altre regioni, come la Liguria, hanno prodotto esperimenti interessanti, come nel Parco delle Cinque Terre, che vede, nell’albergo diffuso, gestito per lo più da giovani, la rivitalizzazione dei cinque paesi che lo compongono.

Nell’Appennino tosco- emiliano e nel Friuli, Legacoop insieme alle amministrazioni locali, sta sperimentando una forma cooperativa che per caratteristiche e coinvolgimento sociale è davvero interessante. Le abbiamo chiamate Cooperative di Comunità. Il Congresso della Legacoop ha rilanciato la proposta, anche in Sardegna. Alcuni sindaci hanno trovato più che interessante la proposta e si sono impegnati ad approfondirla per arrivare ad una sua realizzazione concreta.

Le Cooperative di Comunità si caratterizzano per due questioni fondamentali: l’adesione, in quanto socio di ogni singolo cittadino della comunità nella quale essa opererà, l’inserimento nello spazio lasciato vuoto, dal settore pubblico e privato, non più in grado di erogare servizi o produrre beni in piccoli contesti sociali.

Le Cooperativa di Comunità sono quindi una forma di coesione sociale, che va oltre il volontariato classico, che supera la fase di assistenzialismo pubblico, ma nella forma scelta dai cittadini che le hanno promosse possono divenire motore delle piccole comunità e potrebbero anche evolversi in forme consortili territoriali, coinvolgendo più centri.

Le Cooperative di Comunità svolgono, pur in dimensioni generalmente ridotte, molteplici attività: servizi socio-assistenziali, tutela ambientale, servizi di pubblica utilità, produzione di energia da fonti rinnovabili, gestioni commerciali, servizi e gestioni turistiche, coltivazioni agricole ed allevamento di tipo familiare. Si sviluppa, così, una sufficiente “massa critica” che consente di gestire le attività in forma imprenditoriale, e di creare opportunità di lavoro stabili e regolari, rivitalizzando i piccoli centri in fase di abbandono.

Si fa fronte, in questo modo, alla mancanza o al venir meno di servizi basilari per la comunità, come scuole, negozi, servizi socio-assistenziali. Oppure si fa fronte al degrado ambientale per una migliore valorizzazione delle risorse del territorio. Ma potrebbe anche risultare interessante la risposta alla crisi occupazionale determinatasi nel singolo centro o nell’area circostante, recuperando produzioni tradizionali e antichi mestieri, ripristinando beni ambientali e monumentali, valorizzando tradizioni culturali, favorendo lo sviluppo del turismo e dei ritorni stagionali, ridando valore al patrimonio abitativo, con l’obiettivo primario di creare occasioni di lavoro preziose per trattenere la presenza dei giovani all’interno delle comunità.

Queste esperienze rappresentano altrettante realizzazioni del principio contenuto nell’art. 118 della nostra Costituzione che fa riferimento alla “autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”. Evidenziano come la forma cooperativa sia uno strumento efficace - probabilmente il migliore - a disposizione dei cittadini che vogliano utilizzarlo, per reagire positivamente ai seri problemi, sociali e individuali, che le difficoltà dell’intervento pubblico e i “fallimenti del mercato” possono determinare in tante comunità del nostro paese, in particolare in quelle in condizioni di isolamento territoriale e a rischio di spopolamento.

Se si pensa a quanti sono in Sardegna i Comuni di piccola e piccolissima dimensione si può ben comprendere quante comunità sono già oggi in situazioni critiche.

Sarebbe sufficiente che l’ANCI Sardegna, le provincie, i comuni e soprattutto la Regione Sarda, insieme al movimento cooperativo, affrontassero il problema con determinazione, supportando la costituzione e soprattutto i progetti e le azioni che le “Cooperative di Comunità” possono realizzare, per contribuire alla soluzione di un fenomeno che non è solo di decremento demografico, ma innanzitutto di impoverimento economico e culturale.


*Presidente Legacoop nord Sardegna

 

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