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CASA della SARDEGNA
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20 janvier 2010

STORIA DI SARDEGNA

arborea03
Caterina Murino nel ruolo di Eleonora
(foto di Pino Pinori AIC)

Mariano ed Eleonora D’Arborea
di Giorgio Secci

A parte gli studiosi ed i pochi appassionati di Storia sarda, quanti, fra gli stessi isolani istruiti sanno qualcosa di queste grandi figure, soprattutto di Eleonora cui si deve la raccolta e pubblicazione della “Carta de Logu” base della futura legislazione civile e penale di molti Stati arretrati dell’epoca? Perché tanta scoraggiante ignoranza? Perché siamo ridotti così?

 Perché questa distratta carenza da parte di chi (Regione Autonoma? Ente Turismo? Pro Loco?, Scuola?, organizzazioni culturali?, poeti?, scrittori?, mass media? un po’ tutti costoro?) dovrebbe diffondere capillarmente la conoscenza, il culto della nostra Storia Patria e degli eroi che orgogliosamente la scrissero. Se non lo facciamo noi Sardi, chi allora?

 Un cronista deciso a svolgere un’indagine su quel periodo storico, che armato di microfono, cameraman al seguito, si aggirasse oggi per Cagliari od Oristano intervistando per strada cittadini a caso raccoglierebbe risposte curiose:

 “Eleonora? Mi faccia pensare, ci sono!, è quella lì che produce latte e latticini di Arboréa. No, mi sbaglio, è il nome dell’azienda agricola che d’estate invia a Cagliari camionate di angurie per i mercati di S.Benedetto e Via Pola.”

 “E lei?” chiede a uno lì vicino apparentemente ansioso di esibire la propria cultura “sa dirmi qualcosa del Giudice Mariano IV?”

 “Naturalmente, le pare che non sia informato? E’ quello che ha affibbiato trent’anni di galera a Graziano Mesina da Orgòsolo.”

 Il cronista potrebbe insistere per un’intera giornata senza raccogliere che risposte strampalate. Di chi la colpa?

 Ma non è evidentemente nel nostro stile, siamo piuttosto portati a sminuire, nascondere a noi stessi e agli altri le cose buone, salvo porchetti, formaggi, seadas e pardulas, di casa nostra; anche le nostre glorie, quasi ci vergognassimo o temessimo d’essere giudicati presuntuosi. Da chi?, da napoletani, pugliesi, siciliani, romani, milanesi? Ma se vengono in massa per fare affari, gustare le nostre meraviglie gastronomiche, bearsi delle stupende bellezza della nostra Terra! Gl’importa assai da chi discendiamo, basta che trovino buone trattorie…

 Ma noi persino le nostre inveterate piccole, buone, sane abitudini cerchiamo di nascondere, ci mimetizziamo. Mi si perdonerà se dall’alto della Grande Storia scendo in picchiata e dando un’occhiata à vol d’oiseau, insomma terra terra, cito il caso emblematico dei carciofi spinosi, i migliori in assoluto esistenti, dal sapore fantastico che noi mangiamo ghiottamente crudi, foglia dopo foglia, in pinzimonio o con solo un pizzico di sale. A Roma vivono, pare, trecentomila sardi, bene quei carciofi non arrivano perché nella capitale non hanno mercato, nessuno li compra per non farsi male con le spine. Anche noi? Si, assimilandoci  ai quiriti ci adeguiamo per non esser considerati “diversi”.

 Tralasciando le miserie e tornando con un colpo di cloche a volare alto nei cieli della Storia rileviamo come in Sardegna nessun Aedo, nessun Bardo, neppure uno straccio di cantastorie di quelli che nelle fiere paesane illustravano al siculo volgo le glorie dei paladini di Francia o dei cavalieri di Re Artù, si sia mai presa la briga di accennare alle lotte di Mariano ed Eleonora contro l’invasore. Perché? Ma perché nessuno ne sapeva niente, chi li avrebbe mai informati? Del periodo di quattro secoli della storia dei Giudicati, oggi le masse sanno niente, un buco nero. Niente!!!, neppure una parola nelle scuole dell’Isola.

  Ma, insisto, perché? Le imprese di Orlando paladino di Carlo Magno, dalle chansons de gestes a tutta una pletora di poemi cavallereschi, sono conosciute nell’universo mondo; di Giovanna d’Arco, delle sue voci di dentro e di tutto il resto non v’è chi non si sia occupato a sazietà. Persino Don Rodrigo Diaz, El Cid Campeador conquistatore di Valencia, esaltato e cantato in poemi e racconti diffusi ben oltre la sua patria, è, forse, dalle nostre parti, anch’egli noto.

 Ma chi, fuori dalla Sardegna, poteva aver interesse ad esaltare la figura dei nostri Giudici-Re? Di quei velleitari presuntuosamente convinti di poter rimandare a casa i Grandi (essi si) di Spagna? E con quattro scalzacani straccioni malamente armati? Nessuno, i vincitori scrivono la Storia, mai i vinti. Il Regno di Sardegna, senza il quale non sarebbe forse mai esistito il Regno d’Italia? Una bizzarrìa, una curiosità folkloristica.

 Per amore di verità occorre dire che libri di Storia sarda, scritti da autori Sardi ne esistono e come, quelli del Manno ad esempio e, di recente, numerose valide pubblicazioni, ma per qualche arcano motivo la loro fama o la mera notizia della loro esistenza, sconosciute al sardo “uomo della strada”, raramente varcano il perimetro delle nostre coste, il loro messaggio solo casualmente captato, e in modo rocambolesco, da qualche oscuro radioamatore. Che però lo lascia cadere non trovando a chi trasmetterlo.

 Salvo qualche occasionale, insignificante, remoto Premio Nobel esportiamo poca letteratura. Di Storia manco a parlare!, siamo solo consumatori di quella altrui ed è chiaro il perché, abbiamo sempre perso, siamo sempre stati invasi. I perdenti, hanno sempre avuto torto, ché sbandieravamo ai quattro venti un almanacco dei torti subiti? E a che pro’, per piangerci addosso? 0 per affondare il coltello nella piaga?

 Eppure c’è chi l’ha fatto, qualche masochista come me?, per capire e far capire di noi una montagna di cose che forse inconsciamente intuivamo senza conoscerne le origini, le motivazioni ed i perché.

 Perché siamo cosi pochi, intanto, intorno al milione e mezzo di anime mentre in una pari superficie se ne affollano in Sicilia 7 (sette!). Perché siamo (eravamo, i giovani d’oggi sembrano tutti cestisti e pallavolisti) di così bassa statura. Gli invasori nostri non furono Normanni né alti e biondi Vikinghi. E pare che la plurisecolare micidiale fame, le periodiche carestie, le piaghe bibliche, la malaria c’entrino in qualche modo. Perché siamo cosi schivi, scontrosi e diffidenti, quasi che in ogni altro essere umano sospettassimo un infido malintenzionato o uno sleale concorrente, un avido della roba nostra. Anche quando di roba non ne abbiamo. Perché non vediamo con i dovuti entusiasmo e simpatia la pacifica invasione di milioni di gitanti che d’estate sciamano per spiagge, scogliere, centri balneari, trattorie e agriturismi? Dipenderà da arcani echi ancestrali di remote, cruente, selvagge invasioni? Quanto finora scritto sulla sorte, o malasorte, riservata dal destino alla nostra Isola spiega in parte il carattere superficialmente selvatico che costituisce la nostra seconda pelle a difendere le nostre debolezze, proteggere le nostre virtù, talvolta il nostro complesso d’inferiorità del tutto ingiustificato nei confronti del continentale.

 Tornando alla nostra Storia dei secoli bui, alla radicata sensazione d’essere figli d’un Dio minore non dovette essere estranea la sorte di Mariano ed Eleonora d’Arborèa, unici che alimentarono la concreta speranza di poterci sbarazzare dello straniero. La peste, arma in più che gli eserciti mercenari spargevano dovunque andassero, uccise i due guerrieri proprio quando si accingevano a dare la spallata che li avrebbe definitivamente spazzati via. Con loro i Sardi persero la certezza del riscatto e l’entusiasmo che fino allora avevano posto nella lotta di liberazione.

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