STORIA DI SARDEGNA
Caterina Murino nel ruolo di Eleonora
(foto di Pino Pinori AIC)
Mariano ed Eleonora D’Arborea
di Giorgio Secci
A parte gli studiosi ed i pochi
appassionati di Storia sarda, quanti, fra gli stessi isolani istruiti sanno
qualcosa di queste grandi figure, soprattutto di Eleonora cui si deve la
raccolta e pubblicazione della “Carta de Logu” base della futura legislazione
civile e penale di molti Stati arretrati dell’epoca? Perché tanta scoraggiante
ignoranza? Perché siamo ridotti così?
Perché questa distratta carenza da parte di chi (Regione Autonoma? Ente
Turismo? Pro Loco?, Scuola?, organizzazioni culturali?, poeti?, scrittori?,
mass media? un po’ tutti costoro?) dovrebbe diffondere capillarmente la
conoscenza, il culto della nostra Storia Patria e degli eroi che
orgogliosamente la scrissero. Se non lo facciamo noi Sardi, chi allora?
Un cronista deciso a svolgere un’indagine su quel periodo storico, che
armato di microfono, cameraman al seguito, si aggirasse oggi per Cagliari od
Oristano intervistando per strada cittadini a caso raccoglierebbe risposte
curiose:
“Eleonora? Mi faccia pensare, ci
sono!, è quella lì che produce latte
e latticini di Arboréa. No, mi sbaglio, è il nome dell’azienda agricola che
d’estate invia a Cagliari camionate di angurie per i mercati di S.Benedetto e
Via Pola.”
“E lei?” chiede a uno lì vicino apparentemente ansioso di esibire la
propria cultura “sa dirmi qualcosa del Giudice Mariano IV?”
“Naturalmente, le pare che non sia
informato? E’ quello che ha affibbiato
trent’anni di galera a Graziano Mesina da Orgòsolo.”
Il cronista potrebbe insistere per un’intera giornata senza raccogliere
che risposte strampalate. Di chi la colpa?
Ma non è evidentemente nel nostro stile, siamo piuttosto portati a
sminuire, nascondere a noi stessi e agli altri le cose buone, salvo porchetti,
formaggi, seadas e pardulas, di casa
nostra; anche le nostre glorie, quasi ci vergognassimo o temessimo d’essere
giudicati presuntuosi. Da chi?, da
napoletani, pugliesi, siciliani, romani, milanesi? Ma se vengono in massa per
fare affari, gustare le nostre meraviglie gastronomiche, bearsi delle stupende
bellezza della nostra Terra! Gl’importa assai da chi discendiamo, basta che
trovino buone trattorie…
Ma noi persino le nostre inveterate piccole, buone, sane abitudini
cerchiamo di nascondere, ci mimetizziamo. Mi si perdonerà se dall’alto della
Grande Storia scendo in picchiata e dando un’occhiata à vol d’oiseau, insomma terra terra, cito il caso emblematico dei carciofi spinosi, i
migliori in assoluto esistenti, dal sapore fantastico che noi mangiamo
ghiottamente crudi, foglia dopo foglia, in pinzimonio o con solo un pizzico di
sale. A Roma vivono, pare, trecentomila sardi, bene quei carciofi non
arrivano perché nella capitale non hanno
mercato, nessuno li compra per non
farsi male con le spine. Anche noi? Si, assimilandoci ai quiriti ci adeguiamo per non esser
considerati “diversi”.
Tralasciando le miserie e tornando con un colpo di cloche a volare alto
nei cieli della Storia rileviamo come in Sardegna nessun Aedo, nessun Bardo,
neppure uno straccio di cantastorie di quelli che nelle fiere paesane
illustravano al siculo volgo le glorie dei paladini di Francia o dei cavalieri
di Re Artù, si sia mai presa la briga di accennare alle lotte di Mariano ed Eleonora
contro l’invasore. Perché? Ma perché nessuno ne sapeva niente, chi li avrebbe
mai informati? Del periodo di quattro secoli della storia dei Giudicati, oggi
le masse sanno niente, un buco nero. Niente!!!, neppure una parola nelle scuole
dell’Isola.
Ma, insisto, perché? Le imprese
di Orlando paladino di Carlo Magno, dalle chansons
de gestes a tutta una pletora di poemi cavallereschi, sono conosciute
nell’universo mondo; di Giovanna d’Arco, delle sue voci di dentro e di tutto il resto non v’è chi non si sia occupato
a sazietà. Persino Don Rodrigo Diaz, El
Cid Campeador conquistatore di Valencia, esaltato e cantato in poemi e
racconti diffusi ben oltre la sua patria, è, forse, dalle nostre parti,
anch’egli noto.
Ma chi, fuori dalla Sardegna, poteva aver interesse ad esaltare la
figura dei nostri Giudici-Re? Di quei velleitari presuntuosamente convinti di
poter rimandare a casa i Grandi (essi si) di Spagna? E con quattro scalzacani
straccioni malamente armati? Nessuno, i vincitori scrivono la Storia, mai i
vinti. Il Regno di Sardegna, senza il quale non sarebbe forse mai esistito il
Regno d’Italia? Una bizzarrìa, una curiosità folkloristica.
Per amore di verità occorre dire che libri di Storia sarda, scritti da
autori Sardi ne esistono e come, quelli del Manno ad esempio e, di recente,
numerose valide pubblicazioni, ma per qualche arcano motivo la loro fama o la
mera notizia della loro esistenza, sconosciute al sardo “uomo della strada”,
raramente varcano il perimetro delle nostre coste, il loro messaggio solo
casualmente captato, e in modo rocambolesco, da qualche oscuro radioamatore. Che però lo lascia cadere
non trovando a chi trasmetterlo.
Salvo qualche occasionale, insignificante, remoto Premio Nobel esportiamo
poca letteratura. Di Storia manco a parlare!, siamo solo consumatori di quella
altrui ed è chiaro il perché, abbiamo sempre perso, siamo sempre stati invasi. I
perdenti, hanno sempre avuto torto, ché sbandieravamo ai quattro venti un almanacco
dei torti subiti? E a che pro’, per piangerci addosso? 0 per affondare il
coltello nella piaga?
Eppure c’è chi l’ha fatto, qualche masochista come me?, per capire e far
capire di noi una montagna di cose che forse inconsciamente intuivamo senza
conoscerne le origini, le motivazioni ed i perché.
Perché siamo cosi pochi, intanto, intorno al milione e mezzo di anime
mentre in una pari superficie se ne affollano in Sicilia 7 (sette!). Perché
siamo (eravamo, i giovani d’oggi sembrano tutti cestisti e pallavolisti) di
così bassa statura. Gli invasori nostri non furono Normanni né alti e biondi
Vikinghi. E pare che la plurisecolare micidiale fame, le periodiche carestie,
le piaghe bibliche, la malaria c’entrino in qualche modo. Perché siamo cosi
schivi, scontrosi e diffidenti, quasi che in ogni altro essere umano
sospettassimo un infido malintenzionato o uno sleale concorrente, un avido
della roba nostra. Anche quando di roba non ne abbiamo. Perché non vediamo con
i dovuti entusiasmo e simpatia la pacifica invasione di milioni di gitanti che
d’estate sciamano per spiagge, scogliere, centri balneari, trattorie e
agriturismi? Dipenderà da arcani echi ancestrali di remote, cruente, selvagge
invasioni? Quanto finora scritto sulla
sorte, o malasorte, riservata dal destino alla nostra Isola spiega in parte il
carattere superficialmente selvatico che costituisce la nostra seconda pelle a difendere
le nostre debolezze, proteggere le nostre virtù, talvolta il nostro complesso
d’inferiorità del tutto ingiustificato nei confronti del continentale.
Tornando alla nostra Storia dei secoli bui, alla radicata sensazione
d’essere figli d’un Dio minore non
dovette essere estranea la sorte di Mariano ed Eleonora d’Arborèa, unici che
alimentarono la concreta speranza di poterci sbarazzare dello straniero. La
peste, arma in più che gli eserciti
mercenari spargevano dovunque andassero, uccise i due guerrieri proprio quando
si accingevano a dare la spallata che li avrebbe definitivamente spazzati via.
Con loro i Sardi persero la certezza del riscatto e l’entusiasmo che fino
allora avevano posto nella lotta di liberazione.