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20 mai 2010

Le petit train vert en Sardaigne

Un voyage dans le temps

trenino_verde

Il treno che parte da Mandas

settefradis 19 février 2008Riduzione del documentario RAI-DSE (1994)

Commento e ricordi di Giorgio Secci nato e cresciuto tra i pionieri del famoso trenino

"E adesso mi trovo una Giusy qualsiasi che tenta di "farmi ricordare" quei luoghi "che conosci molto bene"...

Ma da lì sono sbucato, quella è stata la tana che mi ha visto cucciolo fare i primi passi per poi uscirne carponi e lentamente avventurarmi tra rotaie, traversine, materiale rotabile, fino a staccarmente, ma ce n'è voluto!, solo fisicamente. Venuto il momento, solo per caso ho cominciato a narrare "avventure" marinare ma dopo quel po po di successo, passando alla mia seconda opera letteraria la tastiera ha quasi inconsciamente preso a battere vicende legate al treno, alle strade ferrate e ai territori attraversati tra rocce, gallerie, ponti, strapiombi nel profumo di fiori di acacia ed effluvi di macchia mediterranea. Nell'Ogliastra lussureggaiante.

Certe osservazioni della mia mail precedente sul trenino verde sono, ci crederesti?, dovute a invidia per quei quattro gatti di turisti che godono dei paradisi (verdi, quelli si!) della mia fanciullezza e della mia adolescenza. Altri rilievi sono più seri e riguardano esperienze talvolta drammatiche del mio interminabile vissuto di pendolare. La sicurezza di quelle ferrovie era affidata a schiere di uomini che lavoravano senza sosta al controllo dei complessi elementi di quelle linee ferrate e operavano i pronti interventi per sostituire i materiali usurati.

Quando per via della guerra l'assiduo lavoro di manutenzione venne trascurato per anni, in un solo periodo di dodici mesi si verificarono sette (7) deragliamenti e uno scontro con sei morti. Insomma un treno vero (anche se verde) su una strada ferrata vera non è un giocattolo da salotto di quelli che si regalavano per Natale ai bambini. Si spera che questo aspetto venga considerato".

 IL MIO TRENO (di Giorgio Secci)

Fino a quel giorno il treno era stato un qualcosa che, sì, faceva parte delle mie abitudini ma un affare di tutti, niente per me d’importante, arrivava in frenata, partiva sbuffando senza mettesse conto gli si dedicasse più che uno sguardo distratto, una minima variante alla monotonia della giornata semmai la giornata fosse stata monotona. Considerata la sua utilità, soprattutto l’importanza del ruolo ch’era destinato a giocare nella mia futura preparazione tecnica ed umanistica, avrei fatto bene a dedicargli qualche momento di attenzione supplementare. Il tempo gli avrebbe reso giustizia, avrei imparato a conoscerlo, apprezzarlo, disprezzarlo, odiarlo ma a soffrire per la sua mancanza; la bicicletta con cui talvolta dovetti rimpiazzarlo mi riuscì sempre, specie su strada sterrata e in salita, di molto più faticosa.

 Per loro, compagni di scuola, parenti stretti e larghi, amici intimi e non, per tutti insomma quelli che potevano farne a meno, sarebbe diventato il mio treno. Non nel senso che sarei un giorno divenuto socio di maggioranza nell’emerito C.d.A. della Società per le Ferrovie Complementari della Sardegna, non in quel senso anche se, intendiamoci, non sarebbe stata una sistemazione da snobbare, anzi!...

 Per quanto quelle ferrovie fossero, ed a tutt’oggi credo siano, a) In Concessione, b) A scartamento ridotto, c) Sovvenzionate, d) Complementari quei soci pare arrabattino niente male la loro lotta per la sopravvivenza.

 Narra la leggenda di un Presidente, nobile di origine vaticana, che in occasione delle sue periodiche visite d’affari al feudo sardo si mostrasse disponibile e democratico al punto da incoraggiare i dipendenti, riuniti attorno alla sua imponente figura, ad esporre necessità e desideri di cui prendeva puntualmente nota. Scriveva tutto su una grossa scatola di prosperi di legno, di quelli lunghi usati dai fumatori di pipa o sigaro, fitto fitto senza farsi sfuggire una parola.

 Pare che una di quelle scatole, coperta di geroglifici (stenografia?), sia stata una volta trovata, vuota, in un cestino di rifiuti dagli addetti alle pulizie degli uffici.

 

 Il treno era mio nel senso “sbrigati che il tuo treno sta per partire, oppure “a che ora arriva il tuo treno?” o, ancora “se vuoi, domani prendo il tuo treno e ne parliamo.” Così per molti, tanti anni.

 Quando allora dicevi treno tutti capivano di cosa stavi parlando: macchina - bagagliaio – vettura, carrozze una, massimo due se c’erano, oltre la terza, la prima e la seconda classe, a volte un carro merci. Il mio treno era così; oggi, se dicessi “alle otto prendo il mio Eurostar, il mio Pendolino, o, al limite il mio più modesto Intercity” passerei per presuntuoso o megalomane, per di più se vuoi rendere l’idea di quale di detti chilometrici convogli TAV intendi avvalerti, devi specificare. Ma tutto è più complicato e difficile, intanto devi “obliterare” perché se no il “titolo” non è valido e becchi multa, poi non puoi andare dove ti pare, solo a Firenze, Bologna o Milano; a Orte, Chiusi/Chianciano niente, dritto, figuriamoci Terranova Bracciolini e una volta proprio lì dovevo andare! Ti chiudono dentro, vetri sigillati e se vuoi respirare devi accontentarti dell’aria condizionata, a volte troppo calda altre troppo fredda, uguale per tutti, obbligatoria come la prenotazione, che paghi anche se in una carrozza ci sei solo tu e quell’altro dieci posti più avanti. Ma arrivi fulmineamente, quando passa il carrello con le bibite e sei appena riuscito a leggere la terza pagina del tuo giornale devi trangugiare a strozzarti perché sei arrivato; o credi, in quanto dall’ultima carrozza all’uscita della Stazione c’è un percorso da mezza maratona, con i bagagli appresso per via che non si sa che fine abbiano fatto i facchini che una volta ti assillavano ma a pagarli ti portavano loro i bagagli e fortuna che oggi hanno le ruote (la valigie), insomma un viaggio così non te lo gusti. Di recente un nostalgico vecchio ferroviere ha incisivamente definito quei treni “delle lunghe valigie con le ruote.”

 Vuoi mettere il mio treno! Nel tratto di una quindicina di chilometri Arzana-Gairo impiegava lo stesso tempo che l’Eurostar da Roma a Firenze ma respiravi la purissima aria di montagna impregnata del profumo di mirto, cisto, corbezzolo. Le chiome delle acacie sferzavano le carrozze, spesso lasciando cadere all’interno, dai finestrini aperti, foglie, rametti e fiori. Il percorso si snodava fra boschi, strapiombi, altissimi ponti e ti godevi il paesaggio al ralenty, alla moviola distinguevi in lontananza ruscelli, cascatelle, caprette al pascolo. A seconda della direzione del vento venivi però investito dalla zaffata di fumo misto a vapore che (vabbè!) un po’ dava fastidio ma accentuava col suo peculiare puzzo (arivabbè!) la percezione del movimento. Alla fine del viaggio sapevi d’aver fatto un viaggio.

 

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Commentaires
R
viva italia!!
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